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Ho lavorato molto più nel B2B che nel B2C nella vita e, di conseguenza, le logiche di LinkedIn mi sono più familiari rispetto a quelle degli altri Social. O forse semplicemente, da persona noiosa quale sono, il serioso LinkedIn rimane il mio preferito. Ma sono in buona compagnia: in Italia, sono ben 17 milioni gli utenti che utilizzano la piattaforma, un numero significativo che testimonia quanto sia centrale per i professionisti.

Nel corso degli anni, LinkedIn ha aggiunto e rimosso diverse funzionalità. Alcune di queste modifiche hanno avuto senso, altre meno. Ad esempio, è stata eliminata la funzione di conferma delle competenze, a mio avviso molto utile e utilizzata. Inoltre, LinkedIn aveva sperimentato con i video: pensiamo alle stories o agli stati in cover, e persino all’uso dei video come immagine del profilo, funzionalità testate e rimosse nel giro di un paio d’anni. Di recente, sono state introdotte le Newsletter, perfetti veicoli di contenuto di qualità. Tutte queste sperimentazioni suggeriscono che, alla fine, la piattaforma tende a tornare ai suoi pilastri fondamentali.

Ecco perché oggi voglio parlare di video su LinkedIn e di come l’idea di trasformare questa piattaforma in un “TikTok per professionisti” mi faccia un pochino storcere il naso.

L’ascesa dei mini-video sui social d’intrattenimento

Viviamo nell’era del doom-scrolling e dello scorrere all’infinito il feed dello smartphone. Una dipendenza alimentata soprattutto dai mini-video, dalle stories e dai reel su piattaforme come Instagram e TikTok. Questo tipo di contenuto è progettato appositamente per catturare la nostra attenzione con brevi formati accattivanti, facili da consumare e perfetti per stimolare una continua scarica di dopamina.

Il problema è che questo comportamento non è privo di conseguenze: colpisce la nostra capacità di concentrazione, influisce negativamente sulla salute mentale e rovina persino il nostro sonno. In più, ci toglie tempo per attività più significative, come leggere un buon libro o approfondire una competenza.

Ecco perché non amo TikTok. L’ho detto eh, non si torna indietro. E non è solo una questione di società, di abbassamento del livello culturale o di crescente analfabetismo di ritorno. C’è anche una dimensione di marketing che mi preoccupa.

Piattaforme, utenti e obiettivi: a ciascuno il suo

Ogni piattaforma ha il suo pubblico, i suoi obiettivi e il suo linguaggio.

Semplice, no? Quasi un ça va sans dire. E invece oggi sembra si voglia omologare tutto. Una cosa funziona in un determinato contesto, per quanto ampio? Ottimo, allora replichiamola all’infinito anche in altre nicchie che non ci azzeccano nulla.

Se accedo a TikTok, probabilmente cerco intrattenimento puro: un contenuto leggero, divertente, magari anche utile, ma pensato per farmi passare del tempo. Certo, posso trovare recensioni di prodotti, ristoranti o luoghi da visitare, ma il contesto rimane personale, rilassato e ludico.

LinkedIn è un’altra storia. Chi accede a questa piattaforma lo fa per motivi completamente diversi: vuole formarsi, aggiornarsi su temi professionali, fare networking, cercare una nuova opportunità di lavoro o entrare in contatto con colleghi e potenziali clienti. La stessa persona che la sera scorre TikTok, la mattina, quando accede a LinkedIn dal PC, ha aspettative e obiettivi completamente diversi.

Ed è qui che sorge il problema. Perché proporre lo stesso formato di fruizione, come i mini-video in stile TikTok, su una piattaforma che ha un target e uno scopo così diversi? Mi riferisco a quei video con camera fissa sulla faccia di chi parla, che dispensa “I 4 consigli per il detox da cortisolo del CEO”, rigorosamente in stile Instagram. Un format che imita gli influencer, ma che difficilmente si adatta al contesto professionale di LinkedIn – e con una resa decisamente cringe in molti casi, diciamocelo.

Siamo davvero sicuri che questa sia la direzione giusta? Personalmente, penso che LinkedIn debba continuare a distinguersi come il luogo dove si privilegiano contenuti scritti di valore, approfonditi e mirati. Scrivere, usare le parole per iscritto è un’arte straordinaria che – al netto del fatto di essere la cosa che mi permette di mantenermi – merita di essere coltivata, specialmente su una piattaforma professionale.

Perché scrivere rimane un valore aggiunto

LinkedIn è una delle poche piattaforme rimaste dove la parola scritta ha ancora un ruolo centrale. Questo è il suo punto di forza, il pilastro che le permette di differenziarsi e di offrire contenuti davvero utili. I post, gli articoli, i commenti: tutto è pensato per stimolare un dialogo significativo tra professionisti, con una qualità che raramente si trova su altri Social.

Mutuare logiche di fruizione da canali progettati per altri target, altri contenuti e altri obiettivi rischia di snaturare questa piattaforma. E, diciamolo chiaramente, chi è su LinkedIn per cercare contenuti di valore non ha bisogno di essere intrattenuto: vuole essere ispirato, informato e messo in condizione di crescere professionalmente.

Quindi, se volete gestire in modo professionale il vostro canale LinkedIn, ricordate: scrivere bene è ancora il miglior biglietto da visita. E se vi serve una mano, sapete dove trovarmi!