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Ho sempre amato scrivere, scrivere per me: racconti brevi, poesie in metrica, haiku, articoli e molto altro. All’inizio della mia carriera, avevo il terrore di inaridire il mio stile di scrittura a causa delle necessità di ottimizzazione o del tono promozionale di un certo tipo di comunicati stampa.

Oggi, i contenuti digitali creati attraverso l’AI generativa esasperano questo timore, non solo dal punto di vista della perdita di creatività e “guizzo”: c’è chi teme per la propria attività a 360 gradi, c’è chi ha paura di non farcela più senza affidarsi alla tecnologia, con una sorta di horror vacui da foglio bianco. Come se non si riuscisse più a partire a scrivere da zero, senza almeno un canovaccio buttato giù da ChatGPT e similari. 

Come accade per molte altre attività del nostro quotidiano, quindi: sapreste arrivare dove dovete arrivare senza seguire le indicazioni di Waze? O fare calcoli, anche basilari, a mente, senza attivare la calcolatrice sullo smartphone?

Impigriti dalla tecnologia, rischiamo di perdere il nostro quid

E questo non vale solo a livello individuale ma anche, a maggior ragione, per le aziende e i brand. In un ipotetico domani fatto solo di testi-pattern scritti dall’AI, dove sta la cifra distintiva? Dov’è il tono di voce? Come non perdersi tra l’esigenza di avere una certa quantità di contenuti – per ragioni di posizionamento sui motori di ricerca o semplicemente la necessità di utilizzarli come magnet nel digital marketing – e una standardizzazione che pare inevitabile?

Io sono convinta che gli strumenti siano, appunto, strumenti, e che non possano mai, in nessuna situazione, andare a sostituire l’ingegno. La creatività, il guizzo, chiamatelo come volete, quello stato di flow che – quando ci entri – ti permette di produrre qualcosa di meraviglioso.

Oggi, quindi, la necessità di contenuti di qualità è più alta che mai.

E vale sia per la parola scritta sia per i video, che ormai la fanno da padrone, e per le immagini, anch’esse sempre più spesso appiattite da una generazione automatica poco studiata.

Secondo l’ultimo report di SEMRUSH sul Content Marketing nel 2024, il 38% dei marketer che non utilizza l’intelligenza artificiale per la creazione di contenuti impiega circa 3 ore per scrivere un articolo approfondito. Al contrario, il 36% di coloro che adottano l’AI afferma di impiegare meno di un’ora per redigere un articolo analogo. Questi dati evidenziano un netto risparmio di tempo grazie all’uso dell’AI nella produzione di contenuti.

Però c’è un però, e meno male, dico io: la (s)fiducia nel contenuto generato da AI rimane un tema per la maggior parte dei marketer. Il 93% sostiene di mettere in campo diversi metodi di revisione prima di pubblicare i contenuti generati automaticamente, dimostrando un approccio cauto che mira a garantire la qualità, la coerenza e lo stile delle comunicazioni aziendali.

Parole, parole, parole… i contenuti definiscono la realtà

Viviamo immersi nei contenuti: dai siti web ai blog, dalle testate online ai social media. 

L’utente moderno, con una soglia di attenzione sempre più bassa, cerca risposte rapide e dirette. Ma quando si tratta di cercare informazioni precise e dettagliate, un output ben strutturato e comprensibile rimane insostituibile. I contenuti testuali hanno la capacità unica di spiegare concetti complessi, offrire approfondimenti e guidare il lettore in modo chiaro e articolato. Pertanto, investire in testi di qualità non è solo una scelta strategica, ma una necessità.

Nonostante i progressi nel campo dell’automazione, solo un essere umano è in grado di strutturare un pensiero in modo coerente e dare uno stile personale a un testo, creando una connessione con il lettore, trasmettendo emozioni e fornendo informazioni utili, tutto questo al contempo. È per questo che investire in contenuti digitali è essenziale per qualsiasi azienda che voglia rimanere rilevante e competitiva.

Ma voi mi direte: certo, però nessuno legge più lunghi articoli, al massimo si scannerizza di sfuggita la pagina web in cerca di risposte immediate. Una realtà veloce esige contenuti veloci: beh, io ritengo che bisogna adattarsi solo fino a un certo punto all’impoverimento della soglia di attenzione dell’utente. 

Come dire: dato che legge sempre meno, allora non produciamo più libri. 

Mi spaventa il circolo vizioso: sempre meno qualità – nella musica, nell’intrattenimento, in ogni aspetto della nostra quotidianità – significa che le persone abbasseranno sempre più l’asticella delle aspettative, con conseguente impoverimento esponenziale degli output, e così via. E questo, ahimé, deriva anche dal fatto che le intelligenze artificiali iniziano ad essere alimentate non più solo con dati prodotti dagli umani, ma anche con i propri stessi output precedentemente generati, in un rischio progressivo di ricorsività e imbruttimento.

Evoluzione dei testi digitali, tra motori di risposta e sostenibilità digitale

Ovvio, però: il modo in cui gli utenti si aspettano di ricevere informazioni sta cambiando radicalmente. Strumenti come ChatGPT o Perplexity offrono risposte dirette e concise (di Perplexity ho accennato anche in questo articolo). Anche Google sta evolvendo: i risultati di ricerca sono diventati più informativi e diretti, con funzionalità come il “risultato zero” che fornisce risposte immediate.

Servono logica, capacità di analisi dei trend e la competenza per strutturare piani editoriali interessanti e mirati. Le imprese e i brand devono puntare su contenuti che non solo attirino l’attenzione, ma che vadano intercettare davvero le esigenze delle persone.

Investire in contenuti digitali di qualità significa scommettere sul successo a lungo termine, in un corretto equilibrio da sfruttamento dei tool tecnologici e fattore umano.

In questo contesto, la qualità dei contenuti diventa ancora più cruciale: il web è pieno di digital garbage, contenuti ripetitivi e di bassa qualità che non aggiungono valore. Per fortuna, tempi dell’article marketing e dell’article spinning sono finiti: servono contenuti che siano davvero utili, pertinenti e rispettosi dell’utente, che forniscano una risposta corretta e rapida, senza però inaridire l’informazione e il tono di voce dell’azienda.

E questo è importante anche dal punto di vista dell’ambiente: la sostenibilità digitale deve essere presa in considerazione nelle strategie generali di compliance ESG delle imprese, non si può più fingere che il digitale sia di per sé virtuoso solo perché dematerializzato. Non è così, lo stoccaggio dei dati e la potenza di calcolo sono fortemente energivori, così come le e-mail inquinano forse più della carta.

Chi utilizza strumenti come ChatGPT in modo superficiale, solo per riempire il proprio Blog o social feed di contenuti casuali e low-quality, verrà rapidamente superato da chi sa metterci qualcosa in più: struttura, un taglio interessante, un gancio curioso. La voglia di distinguersi e la consapevolezza di non inquinare – il Pianeta e la mente delle persone – con “spazzatura digitale”.